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Verso l’identità digitale europea, l’intervento di Bonati

Il convegno “Verso l’identità digitale europea”, che si è tenuto martedì 23 maggio, ha visto la partecipazione del presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana, del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Alessio Butti, e delle autorità, istituzioni e organizzazioni coinvolte – a vario titolo – nella realizzazione dell’identità digitale dei cittadini italiani.

Tra i relatori, il presidente di Associazione cittadinanza digitale Giovanni Bonati.

Di seguito, il suo intervento.

L’Italia pioniera

L’evento è avvenuto in un momento storico che sull’identità digitale vede l’Italia pioniera.

Tra le cose che il Covid ci ha lasciato e di cui far tesoro c’è un linguaggio comune di cui ci siamo appropriati. Oggi tutti sanno cosa è un QrCode, l’appIo, lo Spid, la Cie. I cittadini sono pronti alla transizione digitale e la pandemia ci ha dimostrato la capacità di accelerazione digitale che siamo in grado di sostenere come italiani.

I vari osservatori ci dicono che, seppure partita in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, la diffusione dell’identità digitale in Italia è poi cresciuta a ritmi più veloci fino a raggiungere e superare le nazioni più performanti su questo tema, come la Francia (sistema FranceConnet) e il Belgio (sistema itsme).

La diffusione dell’identità digitale

In questo momento sono 35milioni gli Spid rilasciati e 35milioni gli italiani in possesso della Carta di identità elettronica (Cie), che da qualche settimana può essere utilizzata online (livelli di sicurezza 1 e 2) senza più necessità di avere con sé il documento fisico e un suo lettore (lettore esterno o Nfc).

Il Paese si sta candidando a essere anche un modello europeo per l’applicazione del “Regolamento eIDAS”, attraverso il quale ogni cittadino europeo potrà accedere ai servizi digitali erogati da qualunque pubblica amministrazione dell’Unione. Questo grazie alla spinta che il governo sta dando sulla transizione digitale con la misura 1.4.1 “Esperienza del cittadino nei servizi pubblici”, dove sono stati finanziati 6.600 Comuni con circa 750 milioni di euro, e la misura 1.4.4 “Estensione dell’utilizzo delle piattaforme nazionali di identità digitale – Spid Cie”, che ha finanziato 5.600 Comuni con circa 78.358.000 euro.

Si sta procedendo inoltre con “European digital identity wallet (Eudi)”, che racchiuderà in un’unica applicazione i documenti ufficiali (patente, tessera sanitaria, tessera elettorale e molto altro), gli attributi anagrafici e tutto ciò che definisce l’identità digitale di un cittadino europeo. Spid e Cie potranno essere usati come piattaforme abilitanti per l’accesso al Wallet per la cui realizzazione la piattaforma naturalmente candidata è l’appIo (34 milioni di download a oggi), che da semplice app per le notifiche dei messaggi della pubblica amministrazione ai cittadini sta evolvendo nel portafoglio della gestione dei dati degli italiani.

Il divario digitale

Stiamo quindi costruendo delle smart city basate sul sistema di identità digitale, ma dobbiamo stare attenti alla nuove barriere digitali che dobbiamo abbattere.

Queste barriere digitali fotografano un’Italia come un territorio dove la diffusione dell’identità digitale sconta, per una serie di elementi di divario digitale, delle significative differenze a livello geografico: per esempio la diffusione di Spid nella popolazione passa da oltre il 70% di Lazio e Lombardia a circa il 50% di altre Regioni.

Queste barriere esistono anche rispetto all’utilizzo dell’identità digitale da parte degli italiani iscritti all’Aire (6 milioni di persone certificate al 1 gennaio 2023) che incontrano spesso problemi tecnologici e burocratici per utilizzare i sistemi oggi disponibili.

Da questo punto di vista, occorre ricordare come l’articolo 9 del Codice dell’amministrazione digitale, Decreto legislativo 07/03/2005, n. 82, affermi come le pubbliche amministrazioni debbano favorire ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili.

L’identità digitale in Costituzione

È arrivato quindi il momento di riconoscere che possedere l’identità digitale è un diritto che deve essere universalmente riconosciuto, come già il Codice dell’amministrazione digitale all’articolo 3 enunciava ben 18 anni fa, riconoscendo che ogni cittadino ha diritto di accedere ai servizi online offerti dalla pubblica amministrazione tramite la propria identità digitale.

Da queste considerazioni nasce l’obiettivo di introdurre l’identità digitale in Costituzione, e l’articolo 2 della nostra Carta è l’alveo naturale laddove si afferma il concetto di “personalità del cittadino” (che a questo punto diventa fisica e digitale) e si evidenzia che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove questa personalità si svolge, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Le azioni di inclusione

Accanto a queste azioni normative è opportuno però agire promuovendo tecnologie innovative, norme chiare e semplici, percorsi organizzativi lineari e certi, azioni di supporto alla promozione della cittadinanza digitale.

Relativamente alla promozione della cittadinanza digitale, l’articolo 8 del Codice dell’amministrazione digitale dispone che lo Stato promuove iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini, con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione per includerli nell’utilizzo dei servizi digitali.

La pandemia ci ha mostrato proprio l’importanza di punti di presidio per la diffusione del digitale. Pensiamo al ruolo svolto dalle farmacie che hanno avuto con inedite funzioni di supporto alla digitalizzazione dei cittadini come front office del sistema sanitario nazionale, come, per esempio, gli aggiornamenti del Green pass, del fascicolo sanitario europeo o la scelta del medico curante.

Punti di presidio analoghi possono essere organizzati anche dalla pubblica amministrazione attraverso, per esempio, la figura del volontariato digitale, la cui istituzione è stata fondamentale per diffondere l’identità digitale in numerosi enti locali italiani e i Centri di facilitazione previsti dalla misura 1.7.2 del Pnrr.

Questo percorso sarà completo quando l’utilizzo dell’identità digitale sarà diffuso sia ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione che a quelli erogati dai privati, dove diventa fondamentale la tutela del cittadino consumatore, che spesso può essere addirittura minorenne.

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Consulta il mio sito internet per conoscermi https://www.giovannibonati.it

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